mercoledì 24 dicembre 2008

DUE PASSI AVANTI E UN SALTO INDIETRO

Due reintegri ed un nuovo licenziamento

Il 25 novembre il Tribunale di Melfi ha accolto il ricorso di Ferrentino contro il primo pronunciamento della procedura di urgenza e ne ha disposto l’immediato reintegro.
Il 3 dicembre analogo provvedimento è stato emanato sempre dal tribunale di Melfi nei confronti di Donato Auria.
Due passaggi importanti, in cui, anche se in via provvisoria, in attesa del giudizio di merito, la magistratura si è espressa a favore dei due operai licenziati.
Sembrava che la situazione finalmente volgesse al meglio, ma ecco che tutto si è complicato di nuovo.
I giudici del Tribunale di Melfi non hanno fatto in tempo a dichiarare l’illegittimità del licenziamento di Francesco Ferrentino e ordinare il reintegro del delegato RSU nel posto di lavoro, che con una lettera ricevuta il 19 dicembre 2008 per Ferrentino è scattato un altro licenziamento.
Il delegato RSU della FLMUniti-CUB era stato licenziato dalla Fiat perché era stato accusato di aver distribuito un volantino contenente dichiarazioni diffamatorie nei confronti di un capo.
Il realtà con il volantino si proclamava sciopero contro i forsennati ritmi di lavoro e si denunciava l’atteggiamento di un capo nei confronti di un rappresentante dei lavoratori peraltro di un’altra Organizzazione Sindacale.
Il Tribunale di Melfi nella sentenza ha evidenziato “che nel volantino contestato non è ravvisabile alcun contenuto offensivo e/o diffamatorio, o quanto meno così gravemente offensivo e/o diffamatorio da giustificare l’irrogazione della massima sanzione disciplinare”.
Nonostante, quindi, i giudici di Melfi abbiano fissato che la sanzione espulsiva irrogata nei confronti di Ferrentino appare obiettivamente sproporzionata rispetto al fatto oggetto di addebito, la Fiat gli ha fatto arrivare un nuovo licenziamento come pacco regalo sotto le feste.
Le contestazioni rivolte stavolta a Ferrentino sono sempre riconducibili allo stesso episodio, cioè alla presunta diffamazione del capo. Questa volta però la Fiat non si riferisce più direttamente al volantino, ma alle dichiarazioni rilasciate dal Ferrentino stesso al giudice durante lo svolgimento del primo livello del processo di urgenza contro il licenziamento. Non solo la Fiat si sostituisce ai giudici, asserendo che queste dichiarazioni sono mendaci, ma accusa Ferrentino di averle fatte per spingere i giudici ad un pronunciamento contro il proprio datore di lavoro. In realtà lo stesso Ferrentino, oltre a fare le sue dichiarazioni, ha chiesto al giudice di ascoltare una serie di testimoni, pronti a confermare quanto da lui dichiarato. Cosa che il giudice non ha fatto, ritenendolo evidentemente superfluo per la sua decisione, che è stata, fra l’altro, a questo primo livello di giudizio, sfavorevole a Ferrentino. Sfavorevole, si badi bene, non perché, per il giudice, Ferrentino avesse detto il falso, ma perché, come si legge nella prima sentenza, unicamente non esisterebbero per Ferrentino le condizioni di pericolo grave ed irreparabile, tali da imporre l’annullamento in via provvisoria del licenziamento. Nulla in questo caso è stato detto dal giudice in merito all’illegittimità o meno del licenziamento. Diversamente è andata per la sentenza sul successivo ricorso presentato da Ferrentino contro questa prima sentenza. Il collegio di giudici chiamato ad esprimersi non solo ha ritenuto che esistesse una situazione di pericolo grave, ma ha anche espresso un suo preciso giudizio sull’illegittimità del licenziamento. Del resto, come può la Fiat sostenere con tanta sicurezza che le dichiarazioni di Ferrentino sono false, al punto da decretarne il licenziamento? E’ in corso un procedimento penale per diffamazione, intentato contro Ferrentino non direttamente dalla Fiat, ma dallo stesso capo criticato nel volantino. E’ in quella sede che speriamo si possa finalmente appurare la verità dei fatti, giungendo alla completa assoluzione di Ferrentino. Leggiamo in questi giorni sui giornali di tanti politici e amministratori incriminati sulla base anche di intercettazioni telefoniche. Per tutti, però, leggiamo che non si può parlare di colpevolezza prima della pronuncia dei giudici. Perché mai questo discorso vale per i politici e non per gli operai? La Fiat invece ragiona diversamente e tende a sostituirsi completamente ai giudici. Due operai (un terzo coinvolto nell’inchiesta è dipendente della CEVA Logistics) ricevono un avviso di garanzia nell’ambito di un’inchiesta contro presunte attività terroristiche e vengono immediatamente licenziati. Lo stesso giudice dopo pochi giorni stabilisce la loro completa estraneità ad ogni accusa ed ottiene l’archiviazione del procedimento, ma la Fiat insiste nel licenziamento. Un capo si ritiene diffamato da un volantino e la Fiat licenzia il “colpevole” senza aspettare il giudizio della magistratura. Arriva addirittura a licenziarlo di nuovo per le dichiarazioni che l’operaio ha fatto ai giudici sull’episodio incriminato, senza che nessun giudice abbia formalmente dichiarato che esse non corrispondono al vero.
Per la Fiat basta un telegramma, una letterina per licenziare e continuare a tenere fuori gli operai dalla fabbrica come Ferrentino.
Gli operai come Ferrentino, invece, per cercare di ritornare in fabbrica a lavorare sulla linea, devono rimettersi in fila presso i tribunali e sperare che una volta raggiunta una nuova sentenza in proprio favore non arrivi un’altra letterina di licenziamento.
Non c’è da scandalizzarsi, dobbiamo solo prendere coscienza che viviamo in un paese dove i padroni fanno quello che vogliono e che solo l’unità di tutti gli operai può dare con la forza dello sciopero la risposta adeguata.
Ferrentino è caduto in depressione dopo il licenziamento e la Fiat ne è a conoscenza ma l’ha licenziato lo stesso. Questa è la realtà con cui gli operai come Ferrentino devono fare i conti sulla propria pelle.

sabato 29 novembre 2008

Siamo ormai alla persecuzione delle opinioni

Mi chiamo Donatantonio Auria e sono un operaio della SATA licenziato da circa un anno.
Con grande tempismo l’azienda mi ha buttato fuori appena ha saputo del mio coinvolgimento in un’inchiesta su terrorismo e sovversione. A niente è servito che il giudice di quell’indagine escludesse quasi subito sia me che gli altri operai SATA coinvolti, perché eravamo completamente estranei ai fatti indagati.
La SATA ha continuato a tenermi fuori dallo stabilimento, già dimostrando con questo atteggiamento che la vera ragione del mio licenziamento non era l’inchiesta, ma il fatto che io fossi un operaio attivo nella difesa dei diritti degli operai.
Da quel momento ho fatto tutti i passaggi legali che si fanno per ritornare al proprio posto di lavoro in questi casi. Il mio sindacato, la FLMUniti-CUB, ha accusato la SATA di comportamento antisindacale, ma la magistratura ha rigettato il ricorso, perché l’FLMUniti non sarebbe un sindacato “nazionale”. Ho allora fatto ricorso al “700” per la riammissione d’urgenza al lavoro per i gravi impedimenti che la perdita del salario mi stava causando. Il giudice ha rigettato anche questo ricorso spiegandomi che il fatto che io non percepissi il salario non era di per sé “un grave impedimento” per me, per mia moglie e per i miei tre figli a carico.
Attualmente sto facendo ricorso contro la prima sentenza sul 700 e il 27 novembre si è avuta la prima udienza del nuovo ricorso legale. In quella sede, il mio avvocato ha fatto presente al giudice che il presupposto fondamentale del mio licenziamento (presupposto già di per sé illegittimo dato che uno non può essere licenziato solo in quanto indagato, né rinviato a giudizio, né condannato) era decaduto da mesi, precisamente da marzo 2008. Quindi, chiedeva di tenerne conto nel ricorso attuale sul 700. E qui la SATA, tramite i suoi avvocati ha rilanciato.
Ha presentato al giudice un documento politico pubblico di cui io sono uno dei firmatari, in cui si afferma la necessità nell’attuale crisi economica che gli operai costruiscano una propria organizzazione politica indipendente, un proprio partito. E’ un appello pubblico su cui si può dissentire, ma non lo si può certo presentare come “corpo di reato”, almeno fino a quando in Italia sarà formalmente garantita la libertà di opinione e di organizzazione politica. Invece, la Fiat è andata tranquillamente oltre. Pur ammettendo che il mio comportamento non ha alcuna rilevanza penale, gli avvocati della Fiat hanno giustificato il mio licenziamento sulla base delle mie opinioni politiche, sulla base della mia convinzione, condivisa da tanti altri operai, che questo modo di produzione ci sta portando alla rovina e che perciò deve essere superato. Io e gli altri miei compagni licenziati abbiamo sempre sostenuto che il vero motivo del licenziamento non era il coinvolgimento nell’inchiesta, ma il fatto che la Fiat ha voluto liberarsi di noi che abbiamo sempre difeso senza compromessi gli interessi di tutti gli operai. Con quest’ultimo atto, la Fiat-Sata ha definitivamente gettato la maschera. Il vero motivo per cui mi tiene fuori la fabbrica e senza salario sono le mie convinzioni politiche, convinzioni da me maturate nel corso delle lotte che da anni si svolgono a Melfi.
Siamo alla persecuzione delle opinioni. Senza potermi accusare di nessun comportamento concreto, sanzionabile penalmente o contrattualmente, la Fiat pretende di licenziarmi per le mie opinioni politiche, liberamente e legittimamente espresse.
In ogni caso, la prossima sentenza ci farà sapere se per la magistratura di Melfi l’operaio che ha opinioni diverse dal proprio padrone compie per questo un reato che va punito col licenziamento.
In realtà, nonostante che nel primo pronunciamento sul 700 si è arrivati a sostenere che io e la mia famiglia possiamo tranquillamente campare, in attesa della sentenza di merito, con i quattro soldi di liquidazione che ho preso, spero che i giudici di Melfi non asseconderanno la pretesa della Fiat di licenziare tutti gli operai che hanno opinioni non gradite all’azienda.

Avigliano, 28/11/2008 Donatantonio Auria

lunedì 27 ottobre 2008

Cadono le accuse ma restano i licenziamenti

Con un decreto di archiviazione, datato 28 marzo 2008, di cui siamo venuti a conoscenza solo in questi giorni, Il GIP (giudice per le indagini preliminari) del Tribunale di Potenza, Pavese, su proposta, datata 30 novembre 2007, dello stesso pubblico ministero Basentini, ha disposto l’archiviazione per noi operai della Fiat di Melfi che eravamo stati coinvolti in una indagine per presunta eversione e terrorismo.
Dalla lettura della richiesta di archiviazione apprendiamo che sarebbe stato accertato che noi operai “saremmo stati avvicinati a seguito delle rivendicazioni sindacali e parasindacali verificatesi nella nota primavera di Melfi con 21 giornate di sciopero da soggetti operanti negli ambienti sovversivi” che “sfruttando illecitamente alcune sigle sindacali e segnatamente quella dello Slai Cobas avrebbero cercato di attuare un’intensa operazione di proselitismo e di reclutamento di risorse umane da integrare nei programmi di lotta armata”.
In realtà, io personalmente non ho mai avuto alcun contatto con nessun personaggio che mi abbia proposto la lotta armata e penso che questo discorso valga anche per gli altri operai.
Dal decreto di archiviazione del 28 Marzo 2008, consegnato in questi giorni abbiamo saputo che anche Francesco Ferrentino risultava fra gli indagati e lui stesso non ha mai ricevuto un avviso di garanzia per questa inchiesta.
In ogni caso anche per lui, come per noi altri operai, è scattata l’archiviazione.
La decisione del Giudice dimostra quello che abbiamo sempre sostenuto noi operai licenziati: la nostra completa estraneità dal terrorismo.
La Fiat avrebbe dovuto aspettare l’esito dell’inchiesta, invece, non solo non ha aspettato la sentenza definitiva per prendere eventuali provvedimenti, come previsto dal contratto nazionale, ma ha preferito prendere a pretesto la questione della presunta eversione per liberarsi di noi operai scomodi perché combattivi, senza preoccuparsi di buttarci ingiustamente sul lastrico.
La Fiat a questo punto dovrebbe prendere atto del pronunciamento della magistratura e ritirare immediatamente gli illegittimi licenziamenti, reintegrando senza indugi noi operai nel nostro posto di lavoro.
In caso contrario, agli occhi di tutti, anche i più filo padronali, non ci potrà essere più nessuna giustificazione per la Fiat, diventando evidente a tutti la volontà aziendale di tenere lontano dalla fabbrica per più tempo possibile e usando qualsiasi pretesto, dal terrorismo al testo di un volantino, degli operai che non piegano la testa e che hanno sempre svolto in modo onesto l’attività sindacale, senza svendere i diritti dei compagni di lavoro.

sabato 11 ottobre 2008

E’ ancora lunga la strada per gli operai licenziati a Melfi.

E’ passato quasi un anno dai licenziamenti illegittimi messi in atto dalla Fiat a Melfi e noi operai licenziati non siamo ancora rientrati in fabbrica.
Nonostante i ricorsi siano stati presentati, alcune udienze si siano tenute e alcuni procedimenti d’urgenza si siano conclusi, nonostante in più occasioni i giudici abbiano affermato che i licenziamenti riguardo al “ fumus boni iuris” appaiono illegittimi, non si intravede all’orizzonte ancora quando potremmo ritornare tutti in fabbrica.
E’ stato impugnato il mio licenziamento e quello di Ferrentino tramite l’art. 28 (condotta antisindacale), ma il giudice ha ritenuto che il sindacato FLMUniti-CUB non avesse “il requisito della nazionalità” ed ha rigettato il ricorso senza entrare nel merito.
E’ stato impugnato il licenziamento di Passannante tramite l’art. 700 (procedura d’urgenza per sospendere i provvedimenti prima del giudizio di merito, nel caso essi comportino un danno irreparabile anche da un’eventuale sentenza a favore del ricorrente). In prima istanza Passannante ha ottenuto il reintegro. La Fiat subito dopo ha proposto appello e ha vinto e Passannante è ancora fuori in attesa del giudizio di merito.
L’altro operaio, Miranda, ha impugnato il licenziamento sempre per l’art. 700. In prima istanza la CEVA (terziarizzata Fiat) ha vinto ed è stato rigettato il ricorso. Il lavoratore ha proposto appello e ha vinto, ma non è ancora rientrato sul suo posto di lavoro.
Addirittura la sua azienda in evidente spregio del dispositivo del giudice che sanciva “di reintegrare” l’operaio “immediatamente nel posto di lavoro occupato all’atto dell’impugnato licenziamento” gli ha comunicato di essere stato trasferito a centinaia di chilometri di distanza.
Perso il ricorso, con l’art. 28, è stato impugnato il licenziamento mio e quello di Ferrentino per “l’art. 414 con contestuale richiesta di emissione di provvedimento cautelare ex art. 669” , cioè con richiesta di immediata sospensione del provvedimento, ma i giudici hanno rigettato il ricorso d’urgenza e non si capisce se e quando rientreremo in fabbrica.
Hanno fissato le udienze di merito, con “tempi biblici”, la prima, che riguarda me, si dovrebbe tenere a febbraio 2009, per Ferrentino addirittura a luglio 2009.
Una cosa è chiara, ricorsi su ricorsi, rinvii su rinvii, udienze su udienze, il tempo passa e noi operai non rientriamo in fabbrica e la Fiat oggettivamente risulta favorita.
E’ quasi un anno che siamo stati buttati sul lastrico e la Fiat, nonostante ciò, sostiene che non esiste il “requisito del periculum in mora” cioè del danno irreparabile, perché, avendo percepito il TFR e l’indennità di disoccupazione (indennità che si ha solo per i primi otto mesi), possiamo sopravvivere per gli altri anni che ci vogliono per concludere la causa.
La tesi della Fiat nella maggior parte dei casi è stata accolta dai giudici di Melfi. Eppure la nostra condizione è così evidente! Un operaio in media percepisce un reddito che non arriva a 20 mila euro all’anno. Considerando i tempi già trascorsi (un anno) e quelli che servono per affrontare il merito della causa (altri anni), ad un operaio nei fatti gli si dice che può sopravvivere con una manciata di euro al mese. Una assurdità, che però ha finora convinto i giudici di Melfi.
Per noi operai licenziati, la strada per arrivare a sconfiggere la Fiat ottenendo il rientro in fabbrica è ancora lunga.

sabato 21 giugno 2008

20 GIUGNO 2008: OSSERVATORI E INFORTUNI

Si è insediato il Comitato di sorveglianza dell’Osservatorio regionale per il monitoraggio degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, istituito dalla legge regionale n. 27/2007.
Dell’organismo fanno parte, dirigenti regionali e delle ASL, il direttore dell’Inail, un avvocato con esperienza nel settore, rappresentanti di Confindustria, Confartigianato, Api e dei sindacati Cgil, Cisl e Uil.
Lo comunica l’assessore regionale alle infrastrutture Innocenzo Lo Guercio.
Hanno fatto appena in tempo ad inaugurare un altro carrozzone che alla Fiat di Melfi (il medesimo giorno) l’ennesimo infortunio grave rischia di portarsi via un altro operaio.
Andrea Gallo un operaio di 38 anni era al lavoro, in un box definito “protetto” è stato colpito pesantemente da una mola, staccatasi dal suo punto di fissaggio.
Ai compagni di lavoro che l’hanno soccorso è apparso subito in condizioni disperate.
E’ stato trasportato subito all’Ospedale S.Carlo di Potenza e i sanitari gli hanno riscontrato una forte ferita alla fronte ed una presunta frattura al cranio.
Appena partito da Melfi sembrava possedere un minimo di lucidità, invece al suo arrivo al S.Carlo, aveva del tutto perso conoscenza.
L’operaio è ricoverato nel reparto di neurochirurgia con prognosi riservata “d’obbligo” per le prossime 48 ore e le sue condizioni restano gravi.
Nel frattempo “la Fiat di Melfi convoca i delegati di fabbrica incaricati di seguire i processi e le iniziative legate all’applicazione e all’osservanza delle norme di sicurezza in fabbrica”!!
Intanto pochi giorni fa un operaio di una terziarizzata della Fiat di Melfi si è preso due giorni di sospensione e un’altra sanzione è in arrivo perché si è rifiutato di lavorare in una postazione dove “non gli veniva garantita la sicurezza”.
A “cascata” i numerosi osservatori continuano a “registrare” e a “blaterare”, gli operai a rischiare la pelle e a morire.

martedì 1 aprile 2008

UN ALTRO OPERAIO MORTO ALLA FIAT DI MELFI

A Melfi dopo i licenziamenti repressivi attuati dalla Fiat, tesi a sottomettere la maggior parte degli operai e a liberarsi degli operai che alzavano la testa, non solo sono aumentati gli infortuni, ma sono morti degli operai.
In fabbrica mentre i soliti elementi affermano che l’aumento degli infortuni e le morti “sono un caso” e “che non c’è una fabbrica sicura al 100%” , molti operai sostengono che da quando sono scattati i licenziamenti, in fabbrica “non si capisce più niente e il padrone fa quello che vuole”.
La Fiat, dicono molti operai, dopo essersi liberato di chi organizzava gli scioperi e la resistenza in fabbrica allo sfruttamento, con il silenzio-assenso dei sindacati filopadronali, ha imposto l’aumento dei ritmi di lavoro e la nuova metrica OCRA con estrema facilità.
Non sono però bastate le complicità e non ci è voluto molto tempo per incominciare a vedere i primi effetti: un operaio morto a dicembre 2007, il 6 marzo 2008 presso la UTE n. 11 solo la prontezza degli operai ha evitato il peggio, il 14 Marzo un altro operaio ha subito un infortunio grave,
il 26 Marzo un altro operaio, di 43 anni, Domenico Monopoli è morto in seguito alle ferite riportate per una caduta da un soppalco, avvenuta mentre stava effettuando il turno di notte nel reparto Verniciatura alla Fiat di Melfi.
Il giovane operaio caduto da un’altezza di circa 6 metri poiché lavorava sul turno di notte non ha avuto neanche la possibilità di ricevere il soccorso immediato del medico che non è presente sul turno di notte.
Al di là delle chiacchiere, anche il medico è un costo, di cui si può fare a meno quando la pelle da salvaguardare è quella degli operai.
Molti di fronte alla morte del giovane operaio sono simbolicamente intervenuti.
Il presidente della regione De Filippo ha dichiarato che “la Regione è impegnata a rendere immediatamente operativo l’Osservatorio regionale degli infortuni e delle malattie professionali per contrastare il fenomeno delle “morti bianche” e per assicurare migliori condizioni di lavoro nei cantieri e nelle fabbriche”.
L’ennesimo carrozzone che una volta messo in piedi servirà solo a imbarcare altri nullafacenti che saranno mantenuti dagli operai che continueranno ad essere sfruttati e a morire sul lavoro.
I partiti di opposizione in regione chiedono la stessa cosa magari “lo stesso mezzo con qualche posto in più”.
I sindacati filopadronali, quando muore un operaio, piagnucolano, esprimono cordoglio, qualche comunicato stampa, fanno qualche sciopero simbolico, ma non si mettono effettivamente contro la Fiat che continua ad approfittarne.
Il presidente di confindustria Basilicata, Attilio Martorano conferma che “siamo tutti pienamente consapevoli delle responsabilità dirette e indirette che ricadono sulle spalle dell’imprenditore nel porre in essere ogni possibile azione utile a preservare la vita e la salute dei nostri collaboratori”.
Gli operai “cadono nel vuoto” come è successo a Domenico e lasciano la pelle, i padroni al massimo rischiano di “cadere nel vuoto” delle parole e non rischiano niente.
Nessuno, infatti, ha il coraggio di denunciare un fatto inconfutabile ed evidente: il nesso che esiste fra i licenziamenti politici, l’aumento dello sfruttamento e gli incidenti mortali sul lavoro.

martedì 18 marzo 2008

QUANDO LA PELLE E’ QUELLA DEGLI OPERAI

Il 14 Marzo 2008 l’ennesimo infortunio alla Fiat di Melfi, ha rovinato fisicamente un operaio di 41 anni.
Un operaio, Gianfranco, che per poco ha rischiato di lasciare la pelle, la moglie e un figlio piccolo.
Per fortuna si è salvato grazie alla prontezza dei compagni di lavoro, che hanno bloccato la linea.
Nonostante ciò è stato “sottoposto ad un delicato intervento chirurgico per la ricostruzione del polpaccio dell’arto destro e del nervo sciatico di quello sinistro”.
L’infortunio è avvenuto in un’area dove l’operaio era stato mandato dall’azienda in “prestito” per il primo giorno cioè in sostituzione di un altro operaio.
Gianfranco prima di svolgere la nuova mansione aveva l’elementare diritto di essere informato dei rischi inerenti alla nuova mansione e alla postazione di lavoro.
Inoltre gli doveva essere fatto l’addestramento adeguato.
Per come vanno le cose in fabbrica, per le esigenze del padrone è poco probabile che sia stato fatto tutto ciò.
L’operaio ha subito un danno fisico grave che si porterà dietro per tutta la vita e che si poteva evitare.
E’ avvenuto tutto in pochi secondi, in un varco tecnico dove agli operai non dovrebbe essere possibile accedere se ci fossero barriere adeguate e dove grazie alle previste fotocellule, dovrebbero scattare i dispositivi di sicurezza relativi al blocco della linea e delle vetture in movimento, che non sono scattati.
Quando succedono cose di questo genere le aziende tendono a scaricare le responsabilità agli operai che a loro dire non rispettano le norme di sicurezza.
Come se gli operai fossero masochisti.
C’era lo spazio e il tempo sufficiente per poter effettuare le operazioni di lavoro senza travalicare nel varco tecnico da parte di un operaio “in prestito e alle prime armi” in una nuova postazione di lavoro?
Gli operai, subiscono sempre più infortuni perché il tempo loro concesso dai padroni è sempre più ristretto e molte volte non hanno neanche il tempo di guardare intorno per rendersi conto dove sono.
Invece i padroni “se ne inventano una più del diavolo” e mentendo “sapendo di mentire”, continuano a dire che non è colpa loro se gli operai si infortunano e muoiono sul lavoro.
Sono tante le volte che gli strumenti di protezione prima vengono applicati nelle fabbriche per ricevere finanziamenti pubblici, poi eliminati se questi non sono compatibili con le esigenze aziendali.
I padroni parlano di formazione, poi anche l’elementare informazione per la prevenzione degli infortuni diventa un qualcosa che deve risultare fatta solo sulla carta, per evitare multe.
E gli ispettori del lavoro quando fanno i controlli in buona fede molte volte vengono veramente presi in giro.
Quello che è successo il 14 alla Fiat di Melfi è un incidente che era stato già annunciato.
Circa un anno fa il delegato Ferrentino aveva fatto presente a dei responsabili aziendali che c’erano dei problemi in quell’area.
Un avviso come tanti da parte del delegato. Un diniego come tanti da parte dei responsabili aziendali.
Se fosse per gli operai questi responsabili aziendali sarebbero immediatamente assegnati al lavoro sulle linee.
Invece sono gli operai che non piegano la testa e scioperano come Ferrentino che vengono licenziati perché denunciano tramite volantini comportamento vessatori e antisindacali di capi e capetti, sotto gli occhi di tanti personaggi che fanno finta di niente. Gli stessi personaggi che “con il sudore degli operai si siedono in tavola esattamente come i padroni ” e al momento giusto anche quando un operaio subisce un infortunio o muore sul lavoro cercano in ogni modo di parare il culo all’azienda.

lunedì 3 marzo 2008

Riflessioni sulla sentenza

La decisione presso il Tribunale di Melfi: una vera ingiustizia.

Dopo essere stato licenziato, insieme ad un altro operaio che era anche RSU, la FLMUniti-CUB, il sindacato a cui aderisco, ha impugnato presso il tribunale di Melfi la causa ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.
La famosa legge 300 del 1970, quella che, ci dicono, dovrebbe tutelare tutti i lavoratori.
Il giudice del lavoro, dopo averci pensato per 2 mesi, ha fatto propria alla lettera le tesi della Fiat-SATA e ha rigettato il ricorso impugnato ai sensi dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori dalla FLMUniti-CUB perché a suo dire il sindacato di base non avrebbe il requisito della nazionalità in quanto presente “solamente” in 43 province e in quasi tutte le regioni.
Una decisione ingiusta che toglie di mezzo qualsiasi dubbio a chi crede ancora nella favola che “la legge è uguale per tutti”.
Secondo questa sentenza, se un operaio aderente a un qualsiasi sindacato di base, a Melfi effettuasse uno sciopero e il padrone lo prendesse a calci, lo riempisse di ingiurie e lo licenziasse, dicendogli che lo sta facendo solo per il semplice fatto che aderisce al sindacato di base, quell’atteggiamento non sarebbe mai considerato antisindacale ai sensi dell’art. 28 dal giudice del tribunale di Melfi.
Il giudice come ha già dimostrato non entrerebbe mai nel merito del ricorso ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, limitandosi ad affermare che il sindacato di base non ha il requisito per poter impugnare l’art. 28.
Anche i calci, le ingiurie e i licenziamenti non sarebbero comportamenti antisindacali perché il sindacato a cui l’operaio aderisce non è presente in tutte le regioni e in tutte le province e non firma i contratti nazionali.
E’ proprio il caso di dirlo: il giudice anche a Melfi afferma che “la legge e uguale per tutti” ma poi viene fuori che gli operai non sono tutti uguali e non possono fruire della stessa legge.
Una sentenza che non penalizza solo la FLMUniti-CUB e tutti i sindacati di base ma anche tutti gli operai, a prescindere dal sindacato di appartenenza, perché, nei fatti, tende a limitare ancora di più ogni nostra già scarsa possibilità di organizzarci liberamente.
Dopo aver imposto il metodo di lavoro della fabbrica integrata sperimentato a Melfi a tutti gli altri stabilimenti, la Fiat utilizzerà anche la giurisprudenza del tribunale di Melfi contro gli operai delle altre fabbriche.
E’ sempre più necessaria una risposta di lotta massiccia e unitaria di tutti gli operai, nella consapevolezza che per battere il padrone e per far rientrare i licenziamenti degli operai combattivi servono gli scioperi e l’organizzazione unitaria di tutti gli operai. Con la sentenza del tribunale di Melfi la strada delle cause e delle vertenze legali ha dimostrato ancora una volta la sua inadeguatezza e insufficienza. Una strada, dove il terreno è sempre di più controllato dai padroni e dove gli operai più combattivi vengono portati per essere “soppressi” legalmente.

Melfi 02-03-2007
L’operaio Donato Auria

SENTENZA TRIBUNALE DI MELFI SULL'ART. 28





venerdì 8 febbraio 2008

Delibera Consiglio Provinciale

PROVINCIA DI POTENZA
CONSIGLIO PROVINCIALE
Deliberazione n. 6

OGGETTO: O.D.G. presentato dai Consiglieri provinciali Scelzo Giuseppe, Soave Raffaele e Caivano Antonio di solidarietà verso i lavoratori FIAT – SATA di Melfi, licenziati dall’Azienda.

L’anno duemilaotto il giorno ventinove del mese di gennaio alle ore 11,30 nella Sala Consiliare della Provincia , a seguito di regolare avviso scritto, notificato a ciascun Consigliere nelle forme di legge, si è riunito il Consiglio Provinciale in sessione straordinaria, in seduta pubblica di prima convocazione

Il Presidente del Consiglio concede la parola al Consigliere Scelzo il quale dà lettura dell’o.d.g. sotto riportato da lui presentato, unitamente ai Consiglieri Soave e Caivano di solidarietà verso i lavoratori FIAT- SATA di Melfi, licenziati dall’Azienda:

“Premesso che, il 23 ottobre scorso, 4 operai dello stabilimento Fiat Sata di Melfi sono stati licenziati: tre in seguito ad avviso di garanzia emesso dalla magistratura nei loro confronti, per presunta eversione (art.270 bis e art. 272 C.P. ) e un R.S.U. , estraneo alle indagini, per aver diffuso volantini sulle dure condizioni di lavoro in fabbrica.
Considerato che la Costituzione Italiana e la Dichiarazione internazionale dei diritti dell’uomo sanciscono la presunzione di innocenza fino a condanna definitiva e che lo Statuto dei Lavoratori prevede il diritto alle manifestazioni di dissenso verso i datori di lavoro, da parte dei lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali.
Considerato altresì che, al momento, gli elementi di colpevolezza che fossero emersi non sono stati tali da giustificare provvedimenti restrittivi della libertà personale, lasciando concreti dubbi sulla responsabilità di quei lavoratori.
Viste le iniziative messe in atto dalle forze sindacali e dalle loro rappresentanze in Azienda, con lettera indirizzata ai vertici dello Stato perché sia ristabilita la legittimità costituzionale e perché questo provvedimento non diventi un pericoloso precedente per alterare il nostro ordinamento.
Esprimendo ferma condanna per gli atti di terrorismo a danno delle istituzioni democratiche, delle forze sindacali e di tutti i cittadini, e manifestando piena fiducia nell’operato della magistratura perché in tempi brevi giunga alla definizione ed all’accertamento delle responsabilità.

IL CONSIGLIO PROVINCIALE

CONDANNA il terrorismo in ogni forma ed espressione, ove accertate .
ESPRIME piena fiducia nell’operato della magistratura, sentimento che è comunque accompagnato dalla convinzione che debba essere garantita a tutti la presunzione di innocenza prevista dalla nostra Carta costituzionale e dalla Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite .
FA VOTI perché l’Azienda Sata voglia ripensare i provvedimenti assunti, considerando la possibilità di sospendere i licenziamenti fino all’accertamento delle effettive responsabilità per quelle che , al momento , sono soltanto ipotesi di reato.
AUSPICA che sulla vicenda possa riprendere un corretto confronto dialettico fra le parti sociali per la ricostituzione di un clima sereno all’interno della fabbrica”.

- Udita la proposta

IL CONSIGLIO PROVINCIALE

a voti unanimi, con l’astensione del Consigliere Giuliano

DELIBERA

di approvare l’o.d.g. da lui presentato, unitamente ai Consiglieri Soave e Caivano di solidarietà verso i lavoratori FIAT- SATA di Melfi, licenziati dall’Azienda.

giovedì 10 gennaio 2008

Piccole vendette di una multinazionale

Piccole vendette di una multinazionale

Dopo essere stato licenziato ingiustamente dalla FIAT di Melfi, faccio domanda di disoccupazione per aver giustamente un contributo economico dopo essere stato sfruttato per 12 anni ininterrottamente in fabbrica.
Presento la domanda l’8 novembre 2007 e il responsabile del procedimento dell’INPS rilascia la ricevuta della presentazione della domanda e chiede nel contempo il DS/22 che è un attestato da compilare a cura del datore di lavoro, cioè la FIAT di Melfi.
Richiedo questo attestato telefonicamente presso l’amministrazione del personale e gli impiegati dichiarano: “che la compilazione è sì a cura del datore di lavoro cioè della Fiat-SATA di Melfi ma che il modello in bianco deve essere fatto recapitare presso l’amministrazione dallo stesso lavoratore”!!
Cioè un modulo da compilare da parte della FIAT-SATA di Melfi, che potrebbe essere scaricato facilmente anche tramite internet, deve essere invece fornito dall’operaio licenziato, che peraltro non può più entrare in fabbrica presso l’amministrazione !!
Sabato 1° Dicembre 2007 arriva una nota (datata 13-11-2007) dell’INPS di Potenza nella quale si richiede il modello DS/22, con la precisazione che detto modello, insieme alla certificazione comprovante l’iscrizione all’Ufficio Provinciale del Lavoro, deve arrivare presso l’INPS di Potenza entro il termine massimo di 30 giorni dalla data di notifica della nota.
La nota tramite il servizio postale è stata recapitata il 1° dicembre, il termine dovrebbe scattare il 1° gennaio 2007.
Invio lunedì 3 dicembre tramite raccomandata il modulo in bianco e la richiesta formale alla FIAT-SATA di Melfi per ricevere il DS/22 compilato.
Il DS/22 in bianco, nonostante sia stato inviato alla FIAT-SATA, non ritorna compilato e il giorno 19 Dicembre mi viene consegnata dal postino una nota dell’INPS di Potenza datata 7 dicembre nella quale si evince che viene respinta la domanda di disoccupazione.
Anche se si volesse prendere in considerazione non quando il postino ha consegnato le due note ma unicamente le date di compilazione delle due note inviate si evince che la prima nota di richiesta del modulo DS/22 è datata 13-11-2007, la seconda nota che respinge la domanda è datata 07-12-2007.
Cioè la nota che respinge la domanda di disoccupazione è stata stilata sei giorni prima del termine previsto dalla data della stessa nota precedente inviata dall’INPS.
E’ soltanto un errore dell’impiegato dell’INPS?
La sostanza è che l’INPS di Potenza fa quello che vuole non aspetta neanche il termine di 30 giorni, la FIAT-SATA di Melfi altrettanto, sembra che siano quasi d’accordo.
Se il DS/22 è un modulo che deve essere rilasciato dalle aziende perché non viene chiesto direttamente alla FIAT da parte dell’INPS?
Dopo alcuni giorni la domanda di disoccupazione viene ripresa in considerazione ma il riconoscimento economico di disoccupazione per il primo mese “slitta”.
Tutti si vantano che gli operai licenziati possono fruire degli “ammortizzatori sociali” poi anche su questi, i padroni con piccoli espedienti burocratici vorrebbero decidere chi e quando deve utilizzarli.

Intervento avvocato Marziale




domenica 6 gennaio 2008

Gli Operai e la borghesia grande e piccola al governo provinciale

Gli operai ancora prima di risultare indagati vengono licenziati.
I signori nel palazzo vengono rinviati a giudizio, non si dimettono e continuano a percepire lauti compensi.
Il consiglio provinciale di Potenza è fissato in prima convocazione martedì 27 novembre, alle 10.30 e in seconda convocazione venerdì 30 novembre, sempre alla stessa ora.
Tra gli argomenti in discussione un ordine del giorno presentato dalla sinistra cosiddetta radicale: di solidarietà verso i lavoratori licenziati dalla FIAT-SATA di San Nicola di Melfi.
Non se ne fa nulla non viene approvato nessun ordine del giorno a favore degli operai licenziati i consiglieri provinciali hanno altro a cui badare.
Bisogna mantenere il carrozzone in piedi, si svolgono altri consigli provinciali e si affrontano altri argomenti, l’ordine del giorno di solidarietà agli operai licenziati è momentaneamente sparito.
Il consiglio provinciale è convocato nuovamente per martedì 18 dicembre 2007, alle ore 10.30.
Nel consiglio si devono discutere cinque ordini del giorno: al terzo punto ricompare solidarietà verso i lavoratori licenziati dalla Fiat-SATA di San Nicola di Melfi.
La seduta viene rinviata per la mancanza del numero legale.
Sul noto giornale locale “Il Quotidiano” del 19 dicembre 2007 appare “L’ordine del giorno sulla Fiat fa paura e salta l’assise provinciale” e ancora “Imboscati sul caso SATA i consiglieri non si fanno trovare e manca il numero legale” “troppo pochi i 14 consiglieri in aula per iniziare i lavori del consiglio provinciale. In 5 minuti tutti a casa”.
Il giornalista si lascia andare e probabilmente dopo aver fatto le opportune verifiche dichiara “e pensare che il testo era stato persino modificato dopo una mediazione con i partiti più grandi della maggioranza” e ancora “nel titolo , è scomparso il termine solidarietà per quei 3 lavoratori licenziati dopo un avviso di garanzia per presunta eversione” e “per il rappresentante sindacale” “estraneo alle indagini, licenziato per aver distribuito volantini sulle dure condizioni di lavoro in fabbrica”.
L’opposizione di centro-destra ironizza “questa volta avremmo votato a favore” “invece” “hanno avuto paura di discutere del punto sulla Sata di Melfi”.
Eppure afferma il giornalista “pochi minuti prima della seduta consiliare, in una riunione preliminare alla presenza del presidente della provincia il partito di maggioranza aveva discusso dei temi in previsione”.
Il giornalista concludendo, scrive “Per fare politica ci vogliono i numeri. A volte serve non averli”.
Praticando con i consiglieri ha incominciato a vedere e capire le manovre di palazzo.
Una vera porcata, se fosse per questi signori noi operai non rientreremmo più in fabbrica.
Una iniziativa che ha avuto l’esito opposto e ha favorito la stessa Fiat.
Non è finita perché pur non essendo in Campania la “sceneggiata napoletana continua”.
Il 20 Dicembre in seconda convocazione si riunisce il consiglio provinciale.
I consiglieri poiché sono sensibili osservano un minuto di silenzio in memoria delle morti bianche dell’ultimo periodo, compreso l’operaio deceduto nella Fiat-SATA di San Nicola di Melfi.
Sulla questione della sicurezza in fabbrica, i consiglieri della “sinistra arcobaleno” presentano un ordine del giorno urgente e chiedono che venga discusso come primo argomento.
Il capogruppo del PD è di diverso avviso chiede di inserirlo come ultimo punto.
La richiesta non viene accolta dalla “sinistra radicale” che abbandona l’aula. Fine dell’ultima puntata.
Pochi giorni dopo sugli organi di stampa viene fuori che per il 20 febbraio 2008 è fissata l’udienza preliminare per 69 persone indagate nell’inchiesta “Jena due”.
Il pm Henry John Woodcock chiede il rinvio a giudizio per una serie di reati che vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, usura, estorsione, corruzione alla turbativa d’asta.
Insieme ai boss e ad “altri presunti appartenenti alla criminalità organizzata figurano il deputato del Pd Antonio Luongo” (amico personale di D’Alema), “il presidente del consiglio provinciale di Potenza Ignazio Petrone, l’Assessore provinciale all’ambiente Domenico Iacobuzio” ed altri appartenenti allo stesso partito.
Tutti non si dimettono e continuano a recepire lauti compensi nel palazzo governativo provinciale.
Tanto per loro non scatta nessun licenziamento.
Per cercare di mantenere i propri privilegi non si mettono contro i loro simili e contro la Fiat e non approvano nessun ordine del giorno che potrebbe dare fastidio.
Continuano a dire che di fronte alla legge tutti devono avere gli stessi diritti, poi viene fuori che gli operai solo per il fatto di essere indagati vengono licenziati e perdono il lavoro, mentre altri elementi che non sono operai vengono rinviati a giudizio o addirittura condannati e continuano a rimanere al loro posto.