lunedì 27 ottobre 2008

Cadono le accuse ma restano i licenziamenti

Con un decreto di archiviazione, datato 28 marzo 2008, di cui siamo venuti a conoscenza solo in questi giorni, Il GIP (giudice per le indagini preliminari) del Tribunale di Potenza, Pavese, su proposta, datata 30 novembre 2007, dello stesso pubblico ministero Basentini, ha disposto l’archiviazione per noi operai della Fiat di Melfi che eravamo stati coinvolti in una indagine per presunta eversione e terrorismo.
Dalla lettura della richiesta di archiviazione apprendiamo che sarebbe stato accertato che noi operai “saremmo stati avvicinati a seguito delle rivendicazioni sindacali e parasindacali verificatesi nella nota primavera di Melfi con 21 giornate di sciopero da soggetti operanti negli ambienti sovversivi” che “sfruttando illecitamente alcune sigle sindacali e segnatamente quella dello Slai Cobas avrebbero cercato di attuare un’intensa operazione di proselitismo e di reclutamento di risorse umane da integrare nei programmi di lotta armata”.
In realtà, io personalmente non ho mai avuto alcun contatto con nessun personaggio che mi abbia proposto la lotta armata e penso che questo discorso valga anche per gli altri operai.
Dal decreto di archiviazione del 28 Marzo 2008, consegnato in questi giorni abbiamo saputo che anche Francesco Ferrentino risultava fra gli indagati e lui stesso non ha mai ricevuto un avviso di garanzia per questa inchiesta.
In ogni caso anche per lui, come per noi altri operai, è scattata l’archiviazione.
La decisione del Giudice dimostra quello che abbiamo sempre sostenuto noi operai licenziati: la nostra completa estraneità dal terrorismo.
La Fiat avrebbe dovuto aspettare l’esito dell’inchiesta, invece, non solo non ha aspettato la sentenza definitiva per prendere eventuali provvedimenti, come previsto dal contratto nazionale, ma ha preferito prendere a pretesto la questione della presunta eversione per liberarsi di noi operai scomodi perché combattivi, senza preoccuparsi di buttarci ingiustamente sul lastrico.
La Fiat a questo punto dovrebbe prendere atto del pronunciamento della magistratura e ritirare immediatamente gli illegittimi licenziamenti, reintegrando senza indugi noi operai nel nostro posto di lavoro.
In caso contrario, agli occhi di tutti, anche i più filo padronali, non ci potrà essere più nessuna giustificazione per la Fiat, diventando evidente a tutti la volontà aziendale di tenere lontano dalla fabbrica per più tempo possibile e usando qualsiasi pretesto, dal terrorismo al testo di un volantino, degli operai che non piegano la testa e che hanno sempre svolto in modo onesto l’attività sindacale, senza svendere i diritti dei compagni di lavoro.

sabato 11 ottobre 2008

E’ ancora lunga la strada per gli operai licenziati a Melfi.

E’ passato quasi un anno dai licenziamenti illegittimi messi in atto dalla Fiat a Melfi e noi operai licenziati non siamo ancora rientrati in fabbrica.
Nonostante i ricorsi siano stati presentati, alcune udienze si siano tenute e alcuni procedimenti d’urgenza si siano conclusi, nonostante in più occasioni i giudici abbiano affermato che i licenziamenti riguardo al “ fumus boni iuris” appaiono illegittimi, non si intravede all’orizzonte ancora quando potremmo ritornare tutti in fabbrica.
E’ stato impugnato il mio licenziamento e quello di Ferrentino tramite l’art. 28 (condotta antisindacale), ma il giudice ha ritenuto che il sindacato FLMUniti-CUB non avesse “il requisito della nazionalità” ed ha rigettato il ricorso senza entrare nel merito.
E’ stato impugnato il licenziamento di Passannante tramite l’art. 700 (procedura d’urgenza per sospendere i provvedimenti prima del giudizio di merito, nel caso essi comportino un danno irreparabile anche da un’eventuale sentenza a favore del ricorrente). In prima istanza Passannante ha ottenuto il reintegro. La Fiat subito dopo ha proposto appello e ha vinto e Passannante è ancora fuori in attesa del giudizio di merito.
L’altro operaio, Miranda, ha impugnato il licenziamento sempre per l’art. 700. In prima istanza la CEVA (terziarizzata Fiat) ha vinto ed è stato rigettato il ricorso. Il lavoratore ha proposto appello e ha vinto, ma non è ancora rientrato sul suo posto di lavoro.
Addirittura la sua azienda in evidente spregio del dispositivo del giudice che sanciva “di reintegrare” l’operaio “immediatamente nel posto di lavoro occupato all’atto dell’impugnato licenziamento” gli ha comunicato di essere stato trasferito a centinaia di chilometri di distanza.
Perso il ricorso, con l’art. 28, è stato impugnato il licenziamento mio e quello di Ferrentino per “l’art. 414 con contestuale richiesta di emissione di provvedimento cautelare ex art. 669” , cioè con richiesta di immediata sospensione del provvedimento, ma i giudici hanno rigettato il ricorso d’urgenza e non si capisce se e quando rientreremo in fabbrica.
Hanno fissato le udienze di merito, con “tempi biblici”, la prima, che riguarda me, si dovrebbe tenere a febbraio 2009, per Ferrentino addirittura a luglio 2009.
Una cosa è chiara, ricorsi su ricorsi, rinvii su rinvii, udienze su udienze, il tempo passa e noi operai non rientriamo in fabbrica e la Fiat oggettivamente risulta favorita.
E’ quasi un anno che siamo stati buttati sul lastrico e la Fiat, nonostante ciò, sostiene che non esiste il “requisito del periculum in mora” cioè del danno irreparabile, perché, avendo percepito il TFR e l’indennità di disoccupazione (indennità che si ha solo per i primi otto mesi), possiamo sopravvivere per gli altri anni che ci vogliono per concludere la causa.
La tesi della Fiat nella maggior parte dei casi è stata accolta dai giudici di Melfi. Eppure la nostra condizione è così evidente! Un operaio in media percepisce un reddito che non arriva a 20 mila euro all’anno. Considerando i tempi già trascorsi (un anno) e quelli che servono per affrontare il merito della causa (altri anni), ad un operaio nei fatti gli si dice che può sopravvivere con una manciata di euro al mese. Una assurdità, che però ha finora convinto i giudici di Melfi.
Per noi operai licenziati, la strada per arrivare a sconfiggere la Fiat ottenendo il rientro in fabbrica è ancora lunga.