sabato 10 novembre 2007

Lettera aperta al Signor Sergio Marchionne amministratore delegato della Fiat

Lei sicuramente non saprà nemmeno che esisto, sono uno dei suoi centomila operai che a turni lavorano negli stabilimenti del gruppo FIAT a produrre auto e con esse gli utili per gli azionisti, per i finanzieri, gli stipendi dei manager. Sono Donatantonio AURIA, operaio di MELFI sospeso e poi licenziato dalla direzione dello stabilimento con una motivazione che fa talmente calci e pugni con il normale sistema di rapporti giuridico contrattuali da diventare un esempio tipico di come nelle fabbriche ed in particolare nelle sue si manifesti un arbitrio senza limiti.
Il fatto è semplicemente spiegato, un magistrato di Potenza ordina la perquisizione di casa mia nell’ambito di una inchiesta sulle associazioni sovversive con finalità terroristiche in Basilicata, nulla viene sequestrato, nessuna prova viene acquisita. Risulto e sono estraneo alla vicenda. Come ogni cittadino in Italia dovrebbe valere la regola che non solo non sono colpevole fino a sentenza definitiva, ma qui sono solo coinvolto marginalmente in un’inchiesta di cui non si conoscono ancora i termini.
La direzione dello stabilimento di Melfi mi sospende con effetto immediato, mi licenzia. Non aspetta gli sviluppi dell’inchiesta, la pronuncia della magistratura. Nel suo regno, signor Marchionne, lo stato di diritto non ha spazio. Il dirigente Fiat è nello stesso tempo legislatore e giudice, la sua volontà inappellabile. La giustificazione semiseria di questo comportamento è il venir meno del rapporto di fiducia fra me e la Fiat, ma non le basta che per mille euro al mese tutti i giorni vengo in fabbrica a sgobbare sulle linee con migliaia di altri operai, vuole anche che gioisca di questa condizione e tutti i giorni dichiari di essere fiducioso del vostro comportamento? Non vi sembra di chiedere oltre il convenuto!
Per sorridere un po’, si immagini se lo stesso modo di agire si applicasse in parlamento, se solo un’iscrizione nel registro degli indagati comportasse il licenziamento, più di due terzi andrebbero a casa subito. Invece stanno lì anche i condannati per via definitiva e per questi sì che è venuta meno la fiducia di tanti elettori.
Il paragone non si può fare, le fabbriche sono un territorio a parte, dove valgono altre regole del gioco. Ma almeno non si blateri più di nuovo capitalismo, di profitto coniugato con le libertà individuali, il rapporto di lavoro è dispotico e non può essere altro.
Ma signor Marchionne conosco bene le ragioni che hanno spinto i suoi subalterni a cogliere la palla al balzo e licenziarmi. Io Donatantonio Auria sono uno degli operai che è stato in prima fila nella lotta dei 21 giorni, ha sostenuto che all’accordo sul welfare occorresse dire un bel no tondo, sono fra coloro che resiste ad ogni intensificazione dei ritmi, sostengo che è necessario chiedere più soldi. Occorreva tapparmi la bocca. Mi chiedo: Marchionne è cosi rovinato da non poter sopportare nei suoi stabilimenti nemmeno un sano sindacalismo operaio? Lei sicuramente sa che i suoi predecessori, capitani d’industria nell’800 e nei primi decenni del ’900, sopportarono ben altro che qualche lotta per il salario, qualche resistenza ai ritmi di lavoro …
Certo metterò in atto tutte le misure legali per difendermi, per far rientrare il licenziamento, per tornare al mio posto di lavoro, ma il guasto è fatto: le sue intelligenti parole sul capitalismo del futuro possono andar bene sulle pagine del Corriere della Sera ma naufragano sui cancelli della SATA di MELFI. Piuttosto che affrontare il rancore degli operai sulle pensioni, sui salari, sulla pesantezza del lavoro, ha preferito tagliare le teste, ma ne dovrà tagliare tante, operai che la pensano come me si formano e riformano in continuazione. Se non lo sa è il regime di fabbrica che li produce.
Saluti
Avigliano, 26/10/2007 Donatantonio Auria

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