domenica 18 gennaio 2009

Rientro in fabbrica

Finalmente dopo 14 mesi dal licenziamento ho varcato i cancelli della Fiat di Melfi e ho ripreso a lavorare.
Il 13 Gennaio sono arrivato ai cancelli. Ero solo, dovevo riprendere il mio lavoro sul turno di notte.
Non c’era nessun capo ad aspettarmi, ho chiesto ai vigilantes se c’erano problemi, hanno controllato sui terminali, mi hanno detto che potevo entrare, ma non dove andare.
Ho deciso di recarmi nella stessa Ute dove lavoravo prima di essere licenziato, sullo stesso posto di lavoro come era sancito anche dal dispositivo dei giudici del Tribunale di Melfi. Ho timbrato il cartellino, non c’era più il capo di prima e ho chiesto al nuovo capo Ute cosa dovevo fare.
Mi ha detto: “aspettami in Ute, devo sbrigare alcune cose. Comunque non ci sono problemi, sei assegnato in questa Ute”.
Dopo circa mezzora, dopo avermi letto alcune cose sulla sicurezza, ha detto che avrei dovuto fare di nuovo l’affiancamento per la mansione da svolgere in postazione.
Un giorno intero insieme ad un altro compagno di lavoro nella postazione montaggio ABS.
Il giorno successivo ero di nuovo solo in postazione come oltre un anno fa.
Cinque giorni di lavoro, oltre mille ABS montati, nemmeno uno errato, nonostante il montaggio di questi pezzi si sia fatto più difficoltoso a causa di alcune modifiche tecniche. I Cpi e il Capo Ute hanno detto che la cosa è stata segnalata da tempo, che si sta provvedendo. Speriamo che lo si faccia in fretta, si eviterebbero possibili tendiniti agli operai.
L’ultima notte, quella di venerdì 16, mancava un’ora alla fine del turno e mi era venuto a trovare un delegato della Fiom, quando si avvicina il Cpi e mi avvisa che devo recarmi dal Repo.
Il delegato della Fiom si fa avanti, mi chiede se è necessaria la sua compagnia, gli ho detto che sicuramente era solo la comunicazione di un eventuale trasferimento.
Circolavano già le voci da alcuni giorni e mi aveva chiamato anche telefonicamente un operaio perché l’aveva sentito da un delegato RSU.
Mi aveva detto perfino in quale Unità sarei stato sicuramente trasferito.
Non è cambiato nulla, la maggior parte dei delegati RSU non lavorano mai, sono quasi sempre in giro e, insieme ai Repo, sono bene informati e potrebbero fare i giornalisti di fabbrica.
Infatti era così. Il Repo mi ha comunicato che da lunedì 19 devo recarmi nell’Unità Stampaggio.
Una unità dove gli operai sono in pochi e i robot in tanti. Una unità dove mi hanno detto che è più facile fare 13 al totocalcio che fare aderire i lavoratori ad uno sciopero.
E’ come se l’azienda mi avesse trasferito da una grande città in una piccola frazione.
C’è poco da dire, un’altra botta in testa sul piano sindacale e politico: il signor Valletta è morto ma i suoi metodi sono rimasti e vengono applicati anche alla Fiat di Melfi.
Resta il fatto che dei quattro licenziati ad ottobre 2007, Passannante, Miranda, Ferrentino ed io, sono il primo a rientrare in fabbrica, smentendo i tanti “amici” che ci consigliavano di accettare eventuali ipotesi di transazione, tanto in Fiat non saremmo più rientrati, ma almeno avremmo avuto un po’ di soldi, altrimenti avremmo fatto la fine del nostro compagno, l’operaio licenziato Tonino Innocenti, che ha perso la causa e per la sua intransigenza non ha beccato nessun euro.
Continua intanto la battaglia per il reintegro di tutti i licenziati.
Ferrentino, delegato RSU della FLMUniti-CUB, ha come me vinto il ricorso avverso il primo pronunciamento negativo sul 700 (procedura d’urgenza), ma è stato di nuovo licenziato per le dichiarazioni rilasciate al giudice.
Passannante ha perso il ricorso sul 700 e la causa di merito si terrà a marzo.
Miranda ha vinto il 700, ma la terziarizzata Fiat di cui è dipendente, la CEVA Logistics, invece di farlo tornare al suo posto di lavoro, come disposto dal giudice, lo ha trasferito addirittura in Toscana. Miranda è stato così costretto ad impugnare anche il trasferimento, ma il giudice di primo grado, incredibilmente, gli ha dato torto.
Anche per me, pur stando già in fabbrica, l’iter giudiziario non è concluso, essendo fissata per il prossimo febbraio la causa di merito per il mio licenziamento.
La battaglia legale si sta rivelando per noi operai licenziati un vero calvario. Il dato più importante è che però nessuno di noi si è arreso e tutti abbiamo compreso la lezione: l’unico modo per tutelare gli operai combattivi è la forza collettiva degli operai.

mercoledì 24 dicembre 2008

DUE PASSI AVANTI E UN SALTO INDIETRO

Due reintegri ed un nuovo licenziamento

Il 25 novembre il Tribunale di Melfi ha accolto il ricorso di Ferrentino contro il primo pronunciamento della procedura di urgenza e ne ha disposto l’immediato reintegro.
Il 3 dicembre analogo provvedimento è stato emanato sempre dal tribunale di Melfi nei confronti di Donato Auria.
Due passaggi importanti, in cui, anche se in via provvisoria, in attesa del giudizio di merito, la magistratura si è espressa a favore dei due operai licenziati.
Sembrava che la situazione finalmente volgesse al meglio, ma ecco che tutto si è complicato di nuovo.
I giudici del Tribunale di Melfi non hanno fatto in tempo a dichiarare l’illegittimità del licenziamento di Francesco Ferrentino e ordinare il reintegro del delegato RSU nel posto di lavoro, che con una lettera ricevuta il 19 dicembre 2008 per Ferrentino è scattato un altro licenziamento.
Il delegato RSU della FLMUniti-CUB era stato licenziato dalla Fiat perché era stato accusato di aver distribuito un volantino contenente dichiarazioni diffamatorie nei confronti di un capo.
Il realtà con il volantino si proclamava sciopero contro i forsennati ritmi di lavoro e si denunciava l’atteggiamento di un capo nei confronti di un rappresentante dei lavoratori peraltro di un’altra Organizzazione Sindacale.
Il Tribunale di Melfi nella sentenza ha evidenziato “che nel volantino contestato non è ravvisabile alcun contenuto offensivo e/o diffamatorio, o quanto meno così gravemente offensivo e/o diffamatorio da giustificare l’irrogazione della massima sanzione disciplinare”.
Nonostante, quindi, i giudici di Melfi abbiano fissato che la sanzione espulsiva irrogata nei confronti di Ferrentino appare obiettivamente sproporzionata rispetto al fatto oggetto di addebito, la Fiat gli ha fatto arrivare un nuovo licenziamento come pacco regalo sotto le feste.
Le contestazioni rivolte stavolta a Ferrentino sono sempre riconducibili allo stesso episodio, cioè alla presunta diffamazione del capo. Questa volta però la Fiat non si riferisce più direttamente al volantino, ma alle dichiarazioni rilasciate dal Ferrentino stesso al giudice durante lo svolgimento del primo livello del processo di urgenza contro il licenziamento. Non solo la Fiat si sostituisce ai giudici, asserendo che queste dichiarazioni sono mendaci, ma accusa Ferrentino di averle fatte per spingere i giudici ad un pronunciamento contro il proprio datore di lavoro. In realtà lo stesso Ferrentino, oltre a fare le sue dichiarazioni, ha chiesto al giudice di ascoltare una serie di testimoni, pronti a confermare quanto da lui dichiarato. Cosa che il giudice non ha fatto, ritenendolo evidentemente superfluo per la sua decisione, che è stata, fra l’altro, a questo primo livello di giudizio, sfavorevole a Ferrentino. Sfavorevole, si badi bene, non perché, per il giudice, Ferrentino avesse detto il falso, ma perché, come si legge nella prima sentenza, unicamente non esisterebbero per Ferrentino le condizioni di pericolo grave ed irreparabile, tali da imporre l’annullamento in via provvisoria del licenziamento. Nulla in questo caso è stato detto dal giudice in merito all’illegittimità o meno del licenziamento. Diversamente è andata per la sentenza sul successivo ricorso presentato da Ferrentino contro questa prima sentenza. Il collegio di giudici chiamato ad esprimersi non solo ha ritenuto che esistesse una situazione di pericolo grave, ma ha anche espresso un suo preciso giudizio sull’illegittimità del licenziamento. Del resto, come può la Fiat sostenere con tanta sicurezza che le dichiarazioni di Ferrentino sono false, al punto da decretarne il licenziamento? E’ in corso un procedimento penale per diffamazione, intentato contro Ferrentino non direttamente dalla Fiat, ma dallo stesso capo criticato nel volantino. E’ in quella sede che speriamo si possa finalmente appurare la verità dei fatti, giungendo alla completa assoluzione di Ferrentino. Leggiamo in questi giorni sui giornali di tanti politici e amministratori incriminati sulla base anche di intercettazioni telefoniche. Per tutti, però, leggiamo che non si può parlare di colpevolezza prima della pronuncia dei giudici. Perché mai questo discorso vale per i politici e non per gli operai? La Fiat invece ragiona diversamente e tende a sostituirsi completamente ai giudici. Due operai (un terzo coinvolto nell’inchiesta è dipendente della CEVA Logistics) ricevono un avviso di garanzia nell’ambito di un’inchiesta contro presunte attività terroristiche e vengono immediatamente licenziati. Lo stesso giudice dopo pochi giorni stabilisce la loro completa estraneità ad ogni accusa ed ottiene l’archiviazione del procedimento, ma la Fiat insiste nel licenziamento. Un capo si ritiene diffamato da un volantino e la Fiat licenzia il “colpevole” senza aspettare il giudizio della magistratura. Arriva addirittura a licenziarlo di nuovo per le dichiarazioni che l’operaio ha fatto ai giudici sull’episodio incriminato, senza che nessun giudice abbia formalmente dichiarato che esse non corrispondono al vero.
Per la Fiat basta un telegramma, una letterina per licenziare e continuare a tenere fuori gli operai dalla fabbrica come Ferrentino.
Gli operai come Ferrentino, invece, per cercare di ritornare in fabbrica a lavorare sulla linea, devono rimettersi in fila presso i tribunali e sperare che una volta raggiunta una nuova sentenza in proprio favore non arrivi un’altra letterina di licenziamento.
Non c’è da scandalizzarsi, dobbiamo solo prendere coscienza che viviamo in un paese dove i padroni fanno quello che vogliono e che solo l’unità di tutti gli operai può dare con la forza dello sciopero la risposta adeguata.
Ferrentino è caduto in depressione dopo il licenziamento e la Fiat ne è a conoscenza ma l’ha licenziato lo stesso. Questa è la realtà con cui gli operai come Ferrentino devono fare i conti sulla propria pelle.

sabato 29 novembre 2008

Siamo ormai alla persecuzione delle opinioni

Mi chiamo Donatantonio Auria e sono un operaio della SATA licenziato da circa un anno.
Con grande tempismo l’azienda mi ha buttato fuori appena ha saputo del mio coinvolgimento in un’inchiesta su terrorismo e sovversione. A niente è servito che il giudice di quell’indagine escludesse quasi subito sia me che gli altri operai SATA coinvolti, perché eravamo completamente estranei ai fatti indagati.
La SATA ha continuato a tenermi fuori dallo stabilimento, già dimostrando con questo atteggiamento che la vera ragione del mio licenziamento non era l’inchiesta, ma il fatto che io fossi un operaio attivo nella difesa dei diritti degli operai.
Da quel momento ho fatto tutti i passaggi legali che si fanno per ritornare al proprio posto di lavoro in questi casi. Il mio sindacato, la FLMUniti-CUB, ha accusato la SATA di comportamento antisindacale, ma la magistratura ha rigettato il ricorso, perché l’FLMUniti non sarebbe un sindacato “nazionale”. Ho allora fatto ricorso al “700” per la riammissione d’urgenza al lavoro per i gravi impedimenti che la perdita del salario mi stava causando. Il giudice ha rigettato anche questo ricorso spiegandomi che il fatto che io non percepissi il salario non era di per sé “un grave impedimento” per me, per mia moglie e per i miei tre figli a carico.
Attualmente sto facendo ricorso contro la prima sentenza sul 700 e il 27 novembre si è avuta la prima udienza del nuovo ricorso legale. In quella sede, il mio avvocato ha fatto presente al giudice che il presupposto fondamentale del mio licenziamento (presupposto già di per sé illegittimo dato che uno non può essere licenziato solo in quanto indagato, né rinviato a giudizio, né condannato) era decaduto da mesi, precisamente da marzo 2008. Quindi, chiedeva di tenerne conto nel ricorso attuale sul 700. E qui la SATA, tramite i suoi avvocati ha rilanciato.
Ha presentato al giudice un documento politico pubblico di cui io sono uno dei firmatari, in cui si afferma la necessità nell’attuale crisi economica che gli operai costruiscano una propria organizzazione politica indipendente, un proprio partito. E’ un appello pubblico su cui si può dissentire, ma non lo si può certo presentare come “corpo di reato”, almeno fino a quando in Italia sarà formalmente garantita la libertà di opinione e di organizzazione politica. Invece, la Fiat è andata tranquillamente oltre. Pur ammettendo che il mio comportamento non ha alcuna rilevanza penale, gli avvocati della Fiat hanno giustificato il mio licenziamento sulla base delle mie opinioni politiche, sulla base della mia convinzione, condivisa da tanti altri operai, che questo modo di produzione ci sta portando alla rovina e che perciò deve essere superato. Io e gli altri miei compagni licenziati abbiamo sempre sostenuto che il vero motivo del licenziamento non era il coinvolgimento nell’inchiesta, ma il fatto che la Fiat ha voluto liberarsi di noi che abbiamo sempre difeso senza compromessi gli interessi di tutti gli operai. Con quest’ultimo atto, la Fiat-Sata ha definitivamente gettato la maschera. Il vero motivo per cui mi tiene fuori la fabbrica e senza salario sono le mie convinzioni politiche, convinzioni da me maturate nel corso delle lotte che da anni si svolgono a Melfi.
Siamo alla persecuzione delle opinioni. Senza potermi accusare di nessun comportamento concreto, sanzionabile penalmente o contrattualmente, la Fiat pretende di licenziarmi per le mie opinioni politiche, liberamente e legittimamente espresse.
In ogni caso, la prossima sentenza ci farà sapere se per la magistratura di Melfi l’operaio che ha opinioni diverse dal proprio padrone compie per questo un reato che va punito col licenziamento.
In realtà, nonostante che nel primo pronunciamento sul 700 si è arrivati a sostenere che io e la mia famiglia possiamo tranquillamente campare, in attesa della sentenza di merito, con i quattro soldi di liquidazione che ho preso, spero che i giudici di Melfi non asseconderanno la pretesa della Fiat di licenziare tutti gli operai che hanno opinioni non gradite all’azienda.

Avigliano, 28/11/2008 Donatantonio Auria

lunedì 27 ottobre 2008

Cadono le accuse ma restano i licenziamenti

Con un decreto di archiviazione, datato 28 marzo 2008, di cui siamo venuti a conoscenza solo in questi giorni, Il GIP (giudice per le indagini preliminari) del Tribunale di Potenza, Pavese, su proposta, datata 30 novembre 2007, dello stesso pubblico ministero Basentini, ha disposto l’archiviazione per noi operai della Fiat di Melfi che eravamo stati coinvolti in una indagine per presunta eversione e terrorismo.
Dalla lettura della richiesta di archiviazione apprendiamo che sarebbe stato accertato che noi operai “saremmo stati avvicinati a seguito delle rivendicazioni sindacali e parasindacali verificatesi nella nota primavera di Melfi con 21 giornate di sciopero da soggetti operanti negli ambienti sovversivi” che “sfruttando illecitamente alcune sigle sindacali e segnatamente quella dello Slai Cobas avrebbero cercato di attuare un’intensa operazione di proselitismo e di reclutamento di risorse umane da integrare nei programmi di lotta armata”.
In realtà, io personalmente non ho mai avuto alcun contatto con nessun personaggio che mi abbia proposto la lotta armata e penso che questo discorso valga anche per gli altri operai.
Dal decreto di archiviazione del 28 Marzo 2008, consegnato in questi giorni abbiamo saputo che anche Francesco Ferrentino risultava fra gli indagati e lui stesso non ha mai ricevuto un avviso di garanzia per questa inchiesta.
In ogni caso anche per lui, come per noi altri operai, è scattata l’archiviazione.
La decisione del Giudice dimostra quello che abbiamo sempre sostenuto noi operai licenziati: la nostra completa estraneità dal terrorismo.
La Fiat avrebbe dovuto aspettare l’esito dell’inchiesta, invece, non solo non ha aspettato la sentenza definitiva per prendere eventuali provvedimenti, come previsto dal contratto nazionale, ma ha preferito prendere a pretesto la questione della presunta eversione per liberarsi di noi operai scomodi perché combattivi, senza preoccuparsi di buttarci ingiustamente sul lastrico.
La Fiat a questo punto dovrebbe prendere atto del pronunciamento della magistratura e ritirare immediatamente gli illegittimi licenziamenti, reintegrando senza indugi noi operai nel nostro posto di lavoro.
In caso contrario, agli occhi di tutti, anche i più filo padronali, non ci potrà essere più nessuna giustificazione per la Fiat, diventando evidente a tutti la volontà aziendale di tenere lontano dalla fabbrica per più tempo possibile e usando qualsiasi pretesto, dal terrorismo al testo di un volantino, degli operai che non piegano la testa e che hanno sempre svolto in modo onesto l’attività sindacale, senza svendere i diritti dei compagni di lavoro.

sabato 11 ottobre 2008

E’ ancora lunga la strada per gli operai licenziati a Melfi.

E’ passato quasi un anno dai licenziamenti illegittimi messi in atto dalla Fiat a Melfi e noi operai licenziati non siamo ancora rientrati in fabbrica.
Nonostante i ricorsi siano stati presentati, alcune udienze si siano tenute e alcuni procedimenti d’urgenza si siano conclusi, nonostante in più occasioni i giudici abbiano affermato che i licenziamenti riguardo al “ fumus boni iuris” appaiono illegittimi, non si intravede all’orizzonte ancora quando potremmo ritornare tutti in fabbrica.
E’ stato impugnato il mio licenziamento e quello di Ferrentino tramite l’art. 28 (condotta antisindacale), ma il giudice ha ritenuto che il sindacato FLMUniti-CUB non avesse “il requisito della nazionalità” ed ha rigettato il ricorso senza entrare nel merito.
E’ stato impugnato il licenziamento di Passannante tramite l’art. 700 (procedura d’urgenza per sospendere i provvedimenti prima del giudizio di merito, nel caso essi comportino un danno irreparabile anche da un’eventuale sentenza a favore del ricorrente). In prima istanza Passannante ha ottenuto il reintegro. La Fiat subito dopo ha proposto appello e ha vinto e Passannante è ancora fuori in attesa del giudizio di merito.
L’altro operaio, Miranda, ha impugnato il licenziamento sempre per l’art. 700. In prima istanza la CEVA (terziarizzata Fiat) ha vinto ed è stato rigettato il ricorso. Il lavoratore ha proposto appello e ha vinto, ma non è ancora rientrato sul suo posto di lavoro.
Addirittura la sua azienda in evidente spregio del dispositivo del giudice che sanciva “di reintegrare” l’operaio “immediatamente nel posto di lavoro occupato all’atto dell’impugnato licenziamento” gli ha comunicato di essere stato trasferito a centinaia di chilometri di distanza.
Perso il ricorso, con l’art. 28, è stato impugnato il licenziamento mio e quello di Ferrentino per “l’art. 414 con contestuale richiesta di emissione di provvedimento cautelare ex art. 669” , cioè con richiesta di immediata sospensione del provvedimento, ma i giudici hanno rigettato il ricorso d’urgenza e non si capisce se e quando rientreremo in fabbrica.
Hanno fissato le udienze di merito, con “tempi biblici”, la prima, che riguarda me, si dovrebbe tenere a febbraio 2009, per Ferrentino addirittura a luglio 2009.
Una cosa è chiara, ricorsi su ricorsi, rinvii su rinvii, udienze su udienze, il tempo passa e noi operai non rientriamo in fabbrica e la Fiat oggettivamente risulta favorita.
E’ quasi un anno che siamo stati buttati sul lastrico e la Fiat, nonostante ciò, sostiene che non esiste il “requisito del periculum in mora” cioè del danno irreparabile, perché, avendo percepito il TFR e l’indennità di disoccupazione (indennità che si ha solo per i primi otto mesi), possiamo sopravvivere per gli altri anni che ci vogliono per concludere la causa.
La tesi della Fiat nella maggior parte dei casi è stata accolta dai giudici di Melfi. Eppure la nostra condizione è così evidente! Un operaio in media percepisce un reddito che non arriva a 20 mila euro all’anno. Considerando i tempi già trascorsi (un anno) e quelli che servono per affrontare il merito della causa (altri anni), ad un operaio nei fatti gli si dice che può sopravvivere con una manciata di euro al mese. Una assurdità, che però ha finora convinto i giudici di Melfi.
Per noi operai licenziati, la strada per arrivare a sconfiggere la Fiat ottenendo il rientro in fabbrica è ancora lunga.

sabato 21 giugno 2008

20 GIUGNO 2008: OSSERVATORI E INFORTUNI

Si è insediato il Comitato di sorveglianza dell’Osservatorio regionale per il monitoraggio degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, istituito dalla legge regionale n. 27/2007.
Dell’organismo fanno parte, dirigenti regionali e delle ASL, il direttore dell’Inail, un avvocato con esperienza nel settore, rappresentanti di Confindustria, Confartigianato, Api e dei sindacati Cgil, Cisl e Uil.
Lo comunica l’assessore regionale alle infrastrutture Innocenzo Lo Guercio.
Hanno fatto appena in tempo ad inaugurare un altro carrozzone che alla Fiat di Melfi (il medesimo giorno) l’ennesimo infortunio grave rischia di portarsi via un altro operaio.
Andrea Gallo un operaio di 38 anni era al lavoro, in un box definito “protetto” è stato colpito pesantemente da una mola, staccatasi dal suo punto di fissaggio.
Ai compagni di lavoro che l’hanno soccorso è apparso subito in condizioni disperate.
E’ stato trasportato subito all’Ospedale S.Carlo di Potenza e i sanitari gli hanno riscontrato una forte ferita alla fronte ed una presunta frattura al cranio.
Appena partito da Melfi sembrava possedere un minimo di lucidità, invece al suo arrivo al S.Carlo, aveva del tutto perso conoscenza.
L’operaio è ricoverato nel reparto di neurochirurgia con prognosi riservata “d’obbligo” per le prossime 48 ore e le sue condizioni restano gravi.
Nel frattempo “la Fiat di Melfi convoca i delegati di fabbrica incaricati di seguire i processi e le iniziative legate all’applicazione e all’osservanza delle norme di sicurezza in fabbrica”!!
Intanto pochi giorni fa un operaio di una terziarizzata della Fiat di Melfi si è preso due giorni di sospensione e un’altra sanzione è in arrivo perché si è rifiutato di lavorare in una postazione dove “non gli veniva garantita la sicurezza”.
A “cascata” i numerosi osservatori continuano a “registrare” e a “blaterare”, gli operai a rischiare la pelle e a morire.

martedì 1 aprile 2008

UN ALTRO OPERAIO MORTO ALLA FIAT DI MELFI

A Melfi dopo i licenziamenti repressivi attuati dalla Fiat, tesi a sottomettere la maggior parte degli operai e a liberarsi degli operai che alzavano la testa, non solo sono aumentati gli infortuni, ma sono morti degli operai.
In fabbrica mentre i soliti elementi affermano che l’aumento degli infortuni e le morti “sono un caso” e “che non c’è una fabbrica sicura al 100%” , molti operai sostengono che da quando sono scattati i licenziamenti, in fabbrica “non si capisce più niente e il padrone fa quello che vuole”.
La Fiat, dicono molti operai, dopo essersi liberato di chi organizzava gli scioperi e la resistenza in fabbrica allo sfruttamento, con il silenzio-assenso dei sindacati filopadronali, ha imposto l’aumento dei ritmi di lavoro e la nuova metrica OCRA con estrema facilità.
Non sono però bastate le complicità e non ci è voluto molto tempo per incominciare a vedere i primi effetti: un operaio morto a dicembre 2007, il 6 marzo 2008 presso la UTE n. 11 solo la prontezza degli operai ha evitato il peggio, il 14 Marzo un altro operaio ha subito un infortunio grave,
il 26 Marzo un altro operaio, di 43 anni, Domenico Monopoli è morto in seguito alle ferite riportate per una caduta da un soppalco, avvenuta mentre stava effettuando il turno di notte nel reparto Verniciatura alla Fiat di Melfi.
Il giovane operaio caduto da un’altezza di circa 6 metri poiché lavorava sul turno di notte non ha avuto neanche la possibilità di ricevere il soccorso immediato del medico che non è presente sul turno di notte.
Al di là delle chiacchiere, anche il medico è un costo, di cui si può fare a meno quando la pelle da salvaguardare è quella degli operai.
Molti di fronte alla morte del giovane operaio sono simbolicamente intervenuti.
Il presidente della regione De Filippo ha dichiarato che “la Regione è impegnata a rendere immediatamente operativo l’Osservatorio regionale degli infortuni e delle malattie professionali per contrastare il fenomeno delle “morti bianche” e per assicurare migliori condizioni di lavoro nei cantieri e nelle fabbriche”.
L’ennesimo carrozzone che una volta messo in piedi servirà solo a imbarcare altri nullafacenti che saranno mantenuti dagli operai che continueranno ad essere sfruttati e a morire sul lavoro.
I partiti di opposizione in regione chiedono la stessa cosa magari “lo stesso mezzo con qualche posto in più”.
I sindacati filopadronali, quando muore un operaio, piagnucolano, esprimono cordoglio, qualche comunicato stampa, fanno qualche sciopero simbolico, ma non si mettono effettivamente contro la Fiat che continua ad approfittarne.
Il presidente di confindustria Basilicata, Attilio Martorano conferma che “siamo tutti pienamente consapevoli delle responsabilità dirette e indirette che ricadono sulle spalle dell’imprenditore nel porre in essere ogni possibile azione utile a preservare la vita e la salute dei nostri collaboratori”.
Gli operai “cadono nel vuoto” come è successo a Domenico e lasciano la pelle, i padroni al massimo rischiano di “cadere nel vuoto” delle parole e non rischiano niente.
Nessuno, infatti, ha il coraggio di denunciare un fatto inconfutabile ed evidente: il nesso che esiste fra i licenziamenti politici, l’aumento dello sfruttamento e gli incidenti mortali sul lavoro.