martedì 18 marzo 2008

QUANDO LA PELLE E’ QUELLA DEGLI OPERAI

Il 14 Marzo 2008 l’ennesimo infortunio alla Fiat di Melfi, ha rovinato fisicamente un operaio di 41 anni.
Un operaio, Gianfranco, che per poco ha rischiato di lasciare la pelle, la moglie e un figlio piccolo.
Per fortuna si è salvato grazie alla prontezza dei compagni di lavoro, che hanno bloccato la linea.
Nonostante ciò è stato “sottoposto ad un delicato intervento chirurgico per la ricostruzione del polpaccio dell’arto destro e del nervo sciatico di quello sinistro”.
L’infortunio è avvenuto in un’area dove l’operaio era stato mandato dall’azienda in “prestito” per il primo giorno cioè in sostituzione di un altro operaio.
Gianfranco prima di svolgere la nuova mansione aveva l’elementare diritto di essere informato dei rischi inerenti alla nuova mansione e alla postazione di lavoro.
Inoltre gli doveva essere fatto l’addestramento adeguato.
Per come vanno le cose in fabbrica, per le esigenze del padrone è poco probabile che sia stato fatto tutto ciò.
L’operaio ha subito un danno fisico grave che si porterà dietro per tutta la vita e che si poteva evitare.
E’ avvenuto tutto in pochi secondi, in un varco tecnico dove agli operai non dovrebbe essere possibile accedere se ci fossero barriere adeguate e dove grazie alle previste fotocellule, dovrebbero scattare i dispositivi di sicurezza relativi al blocco della linea e delle vetture in movimento, che non sono scattati.
Quando succedono cose di questo genere le aziende tendono a scaricare le responsabilità agli operai che a loro dire non rispettano le norme di sicurezza.
Come se gli operai fossero masochisti.
C’era lo spazio e il tempo sufficiente per poter effettuare le operazioni di lavoro senza travalicare nel varco tecnico da parte di un operaio “in prestito e alle prime armi” in una nuova postazione di lavoro?
Gli operai, subiscono sempre più infortuni perché il tempo loro concesso dai padroni è sempre più ristretto e molte volte non hanno neanche il tempo di guardare intorno per rendersi conto dove sono.
Invece i padroni “se ne inventano una più del diavolo” e mentendo “sapendo di mentire”, continuano a dire che non è colpa loro se gli operai si infortunano e muoiono sul lavoro.
Sono tante le volte che gli strumenti di protezione prima vengono applicati nelle fabbriche per ricevere finanziamenti pubblici, poi eliminati se questi non sono compatibili con le esigenze aziendali.
I padroni parlano di formazione, poi anche l’elementare informazione per la prevenzione degli infortuni diventa un qualcosa che deve risultare fatta solo sulla carta, per evitare multe.
E gli ispettori del lavoro quando fanno i controlli in buona fede molte volte vengono veramente presi in giro.
Quello che è successo il 14 alla Fiat di Melfi è un incidente che era stato già annunciato.
Circa un anno fa il delegato Ferrentino aveva fatto presente a dei responsabili aziendali che c’erano dei problemi in quell’area.
Un avviso come tanti da parte del delegato. Un diniego come tanti da parte dei responsabili aziendali.
Se fosse per gli operai questi responsabili aziendali sarebbero immediatamente assegnati al lavoro sulle linee.
Invece sono gli operai che non piegano la testa e scioperano come Ferrentino che vengono licenziati perché denunciano tramite volantini comportamento vessatori e antisindacali di capi e capetti, sotto gli occhi di tanti personaggi che fanno finta di niente. Gli stessi personaggi che “con il sudore degli operai si siedono in tavola esattamente come i padroni ” e al momento giusto anche quando un operaio subisce un infortunio o muore sul lavoro cercano in ogni modo di parare il culo all’azienda.

lunedì 3 marzo 2008

Riflessioni sulla sentenza

La decisione presso il Tribunale di Melfi: una vera ingiustizia.

Dopo essere stato licenziato, insieme ad un altro operaio che era anche RSU, la FLMUniti-CUB, il sindacato a cui aderisco, ha impugnato presso il tribunale di Melfi la causa ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.
La famosa legge 300 del 1970, quella che, ci dicono, dovrebbe tutelare tutti i lavoratori.
Il giudice del lavoro, dopo averci pensato per 2 mesi, ha fatto propria alla lettera le tesi della Fiat-SATA e ha rigettato il ricorso impugnato ai sensi dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori dalla FLMUniti-CUB perché a suo dire il sindacato di base non avrebbe il requisito della nazionalità in quanto presente “solamente” in 43 province e in quasi tutte le regioni.
Una decisione ingiusta che toglie di mezzo qualsiasi dubbio a chi crede ancora nella favola che “la legge è uguale per tutti”.
Secondo questa sentenza, se un operaio aderente a un qualsiasi sindacato di base, a Melfi effettuasse uno sciopero e il padrone lo prendesse a calci, lo riempisse di ingiurie e lo licenziasse, dicendogli che lo sta facendo solo per il semplice fatto che aderisce al sindacato di base, quell’atteggiamento non sarebbe mai considerato antisindacale ai sensi dell’art. 28 dal giudice del tribunale di Melfi.
Il giudice come ha già dimostrato non entrerebbe mai nel merito del ricorso ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, limitandosi ad affermare che il sindacato di base non ha il requisito per poter impugnare l’art. 28.
Anche i calci, le ingiurie e i licenziamenti non sarebbero comportamenti antisindacali perché il sindacato a cui l’operaio aderisce non è presente in tutte le regioni e in tutte le province e non firma i contratti nazionali.
E’ proprio il caso di dirlo: il giudice anche a Melfi afferma che “la legge e uguale per tutti” ma poi viene fuori che gli operai non sono tutti uguali e non possono fruire della stessa legge.
Una sentenza che non penalizza solo la FLMUniti-CUB e tutti i sindacati di base ma anche tutti gli operai, a prescindere dal sindacato di appartenenza, perché, nei fatti, tende a limitare ancora di più ogni nostra già scarsa possibilità di organizzarci liberamente.
Dopo aver imposto il metodo di lavoro della fabbrica integrata sperimentato a Melfi a tutti gli altri stabilimenti, la Fiat utilizzerà anche la giurisprudenza del tribunale di Melfi contro gli operai delle altre fabbriche.
E’ sempre più necessaria una risposta di lotta massiccia e unitaria di tutti gli operai, nella consapevolezza che per battere il padrone e per far rientrare i licenziamenti degli operai combattivi servono gli scioperi e l’organizzazione unitaria di tutti gli operai. Con la sentenza del tribunale di Melfi la strada delle cause e delle vertenze legali ha dimostrato ancora una volta la sua inadeguatezza e insufficienza. Una strada, dove il terreno è sempre di più controllato dai padroni e dove gli operai più combattivi vengono portati per essere “soppressi” legalmente.

Melfi 02-03-2007
L’operaio Donato Auria

SENTENZA TRIBUNALE DI MELFI SULL'ART. 28